2 ott 2015

Quando i luoghi ci chiamano



E' successo.

Ho messo il naso al di fuori dello stivale italiano. L'inaspettato non mi ha spazzato, anche se durante l'atterraggio le turbolenze hanno scosso tutto l'aereo. Mamma diceva che là le turbolenze capitano spesso, tuttavia non ero sicura se quella volta non fosse stato il tremare del mio cuore. Guardò fuori dalla finestra e al di sotto delle nuvole dense, si poteva vedere il contorno del porto. Siamo arrivati.

Non mi ricordo il primo momento in cui ho sentito l'aria locale nei miei polmoni, ma se nella mia mente camminavo così tante volte su quella terra, ed il mio io sembrava conoscere a memoria la composizione delle strade, forse il mio corpo ha riconosciuto come familiare anche l'aria. Quello che è successo dopo, dal momento in cui sono scesa dall'aereo, poi salita sull'autobus e alla fine arrivata a carrer d'Urgell, mi sembrava un delirio onirico e come accade in un sogno, delle seguenze di scene irreali di cui ero testimone. Al carrer d'Urgell siamo scesi come gli unici e invece di una folla di gente, e tra di loro i borseggiatori, per strada c'era solo una signora seduta sulla panchina e un gruppo di giovani che stavano andando lungo la strada con un passo veloce. Quando, sorridendoci, ci siamo messi a camminare giù la strada, davanti agli occhi avevo ancora le parole, visualizzate su un piccolo schermo in autobus, accompagnate da una emoticon sorridente "Hooray!You are finally here!".


Stavo là, seduta, bevendo il mio primo café solo, in televisione trasmettevano una partita, una donna con un cagnolino in braccio (che fissava attentamente le briciole rimaste dal mio cornetto) mescolava pigramente il suo caffè, discutendo con la ragazza al bar, e una signora anziana seduta accanto le guardava ogni tanto alzando lo sguardo dal giornale e entrando nella conversazione. La giornata era soleggiata, si sentiva un'afa leggera, e il mio posto ad un piccolo tavolo vicino alla finestra sembrava essere il posto più sicuro al mondo. Il più sicuro ed il più giusto per me in quel momento. In quell'attimo che sembrava prolungarsi piacevolmente nel tempo che avrebbe potuto materializzarsi allora accanto alla mia tazza di caffè e assumere una forma di una plastilina senza fine.



Cosa veramente determina il luogo che scegliamo come la meta del nostro viaggio?Ho ormai scritto tante volte che i posti sono come le persone, che in un certo modo ci chiamano. Già da una mappa cartacea che profuma ancora di colla, quei posti gettano verso di noi un lasso, un silenzioso filo di uno strano legame, molto simile a quello che a volte nasce tra le persone, prima ancora che essi si guardano bene. Come un tipo di messaggio muto "già ci conosciamo, ci siamo già incontrati", e tu segui intuitivamente quella sensazione, visto che tutto quello che ci risulta familiare, suscita in noi un senso di sicurezza. La mia decisione fin dall'inizio era una di quelle ovvie, prese molto tempo prima e come se un po' al di là di me; essa era piuttosto un'opportunità di rivivere quello che era già successo, e la mia visita a Barcellona era piuttosto un ricordarsi dei posti che conoscevo di una vita che non mi ricordo.

"Azúcar moreno!", recitò lentamente il cameriere, prolungando ogni sillaba e insegnando al Mio Amato (che aveva deciso di cavarsela senza il mio aiuto, visto che "lo spagnolo è uguale all'italiano") come pronunciare giustamente lo zucchero di canna. "Mo-re-no", ripetò, facendo un gesto che si fa mentre si svolta il tappeto.

Il Mio Amato diceva che Barcellona si trova al primo posto delle gite scolastiche in Italia. Solo a Bologna l'80% degli studenti stranieri è composto dagli spagnoli, e la destinazione più scelta dagli studenti italiani che decidono di partecipare al programma di scambio, è la penisola iberica. Non mi sorprende, quindi, quando dove non guardiamo, c'è almeno una persona che parla italiano. I spagnoli però sorridono ampiamente ogni volta quando si tenta di parlare la loro lingua. Anch'io sono contenta, visto che, essendo un'ospite nel loro paese, nella mia città desiderata, voglio, in quanto è possibile, immedesimarmi con il luogo.



Malgrado le apparenze, non sono le cattedrali che visitiamo in fretta a causare che un luogo, una città si stampano nella nostra memoria, ma a farlo sono quei singoli attimi trascorsi a condividere la quotidianità con un luogo.Ci sembra che riconosciamo il battere del cuore delle strade e quasi quasi riusciamo a indovinare le storie ed i misteri da esse custodite. E la città parla a noi in diversi modi. Ci parla attraverso una pubblicità nell’autobus, tramite un cordiale autista che ti mostra la strada, un ultimo biglietto che riesci a comprare come se ti avesse aspettato oppure attraverso un percorso nascosto che ci porterà in un luogo sconosciuto e fin'ora non raccontato da nessuno. La terra è spesso in grado di dirci molte più cose che la gente. Ed allora, esplorare una città diventa davvero lo scoprire di noi stessi, e per questo la meta del nostro viaggio non dovrebbe essere mai scelta in modo casuale.


Stavo là, seduta accanto alla finestra, bevendo il mio primo café solo e sentivo come tutte le piccole molecole di energia del mio corpo tremano allegramente insieme alle molecole del posto, causando un leggero dondolio della terra sotto i miei piedi. E non poteva sentirlo né il cameriere che faceva il gesto di svoltare il tappeto, né la signora con il cane, né quella con il giornale. Quel dondolare è stato qualcosa che è successo solamente tra me ed il luogo. E' incredibile quante cose accadono in un solo momento, quando finalmente riusciamo a viverlo consapevolmente



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